
Vitamina d in estate: serve ancora integrarla?
La vitamina D è spesso chiamata la "vitamina del sole", e non a caso. Il nostro corpo ha la straordinaria capacità di produrla quando la pelle viene esposta ai raggi UVB. Ma allora, in piena estate, viene spontaneo chiedersi: se passiamo più tempo all’aria aperta, abbiamo davvero bisogno di continuare a integrare la vitamina D? La risposta, come spesso accade in medicina, non è così scontata e dipende da una serie di fattori che vale la pena esplorare.
Partiamo da un dato fondamentale: la vitamina D non è solo una vitamina, ma un vero e proprio ormone che regola numerose funzioni nel nostro organismo. Dal supporto al sistema immunitario alla salute delle ossa, passando per la modulazione dell’umore, il suo ruolo è così cruciale che una carenza può avere ripercussioni importanti. Eppure, nonostante il sole sia una fonte primaria, molte persone scoprono di avere livelli bassi anche d’estate. Come mai?
Il primo punto da considerare è che la sintesi cutanea di vitamina D dipende da diversi elementi, non solo dalla quantità di tempo trascorso al sole. L’orario di esposizione, la latitudine in cui viviamo, il colore della pelle e persino l’uso di protezioni solari giocano un ruolo decisivo. I raggi UVB, quelli necessari per attivare la produzione di vitamina D, sono più intensi tra le 10 e le 15, ma è proprio in questa fascia oraria che spesso si tende a evitare il sole o a proteggersi con creme ad alto SPF, che riducono la sintesi cutanea fino al 95%. Se a questo aggiungiamo che, anche in estate, molte persone lavorano al chiuso o indossano abiti coprenti, capiamo perché il solo sole potrebbe non bastare.
Un altro aspetto spesso sottovalutato è che la vitamina D ha vita relativamente breve nel sangue, il che significa che i suoi livelli possono calare rapidamente se non c’è un apporto costante. Anche se in estate ne produciamo di più, le scorte accumulate potrebbero non essere sufficienti per coprire i mesi invernali, soprattutto se partiamo già da una condizione di carenza. Ecco perché, in alcuni casi, continuare con l’integrazione anche nei mesi più caldi può essere una scelta sensata, soprattutto per chi ha fattori di rischio come un’età avanzata, una pelle più scura (che richiede tempi di esposizione più lunghi), obesità o condizioni che compromettono l’assorbimento dei nutrienti.
C’è poi chi pensa che basti mangiare alimenti ricchi di vitamina D per sopperire alle eventuali carenze. Purtroppo, la realtà è che pochi cibi ne contengono quantità significative. Pesci come il salmone, il tuorlo d’uovo e i funghi esposti al sole sono tra le fonti migliori, ma difficilmente riescono a coprire il fabbisogno giornaliero da soli. L’integrazione, quindi, rimane spesso la via più efficace per mantenere livelli ottimali, a meno che non si riesca a garantire un’esposizione solare sufficiente e ben calibrata.
Ma come capire se serve davvero integrare? L’unico modo per averne certezza è un semplice esame del sangue, il dosaggio della 25-OH vitamina D, che permette di valutare i livelli effettivi e agire di conseguenza. Il range ottimale è ancora dibattuto, ma la maggior parte delle linee guida suggerisce di mantenersi almeno sopra i 30 ng/mL. Se i tuoi valori sono ai limiti o inferiori, il medico potrebbe consigliarti di proseguire con l’integrazione anche d’estate, magari riducendo leggermente il dosaggio rispetto all’inverno.
In definitiva, la risposta alla nostra domanda di origine, è che tutto dipende dal tuo stile di vita, dalla tua alimentazione e, soprattutto, dai tuoi livelli ematici. Quel che è certo è che il sole estivo, da solo, non è sempre una garanzia, e visto che la vitamina D è un pilastro della salute, non vale la pena rischiare di trascurarla.
Se hai dubbi, parlane con il tuo medico: un semplice esame e un confronto possono aiutarti a trovare la strategia giusta per te, senza affidarti al caso.